La paura di restare può esser tanto forte quanto quella di andar via. Sentirsi abbandonati dalla propria terra fa male come una pugnalata alle spalle. Che siano più o meno forti, però, le radici si sradicano mai del tutto. Almeno in parte restano. La rabbia e lo sconforto ci spingono a partire, ma la speranza che dentro di noi e grazie a noi la vita continui a scorrere, ci spinge a rimanere.
Mario Rigoni Stern vive questo dilemma in prima persona. Nato nel 1921 ad Asiago, paese distrutto e incenerito dalla Grande Guerra, ricostruito col sudore e la fatica dei profughi che scelsero di tornare alle proprie radici. Si allontana di casa a 17 anni per frequentare la scuola militare. A portarlo ancora più lontano però sarà la guerra in Francia, Albania, Grecia, Russia e ancora la prigionia in un lager in Prussia Orientale. Torna nella sua terra, l’Altopiano di Asiago, bagnata dal sangue della lotta partigiana. Dal 1945 amici e compaesani iniziano a partire per terre d’oltremare in cerca di fortuna. Lui sceglie di restare. Si sposa, inizia a lavorare all’ufficio del catasto, inizia a scrivere. Racconta il dramma della guerra, come fecero tanti altri reduci come lui. Sente però di avere anche da raccontare sui suoi luoghi e sulle persone, sulle piante e gli animali del suo amato “Altipiano”.
“Storia di Tönle”, che secondo Rigoni stesso è “il libro più bello”, è la storia di un uomo che ama la sua terra e le sue montagne. La racconta all’amico Gigi Ghirotti (famoso partigiano pacifico che girava con il badile al posto del fucile) spossato da una grave malattia.
Tönle è costretto ad allontanarsi dalla propria terra la prima volta a causa di un mandato di arresto per contrabbando. Svolge i lavori più disparati in giro per l’Europa: dal venditore di stampe, al giardiniere, all’addestratore di cavalli. Ritorna di nascosto a casa ogni inverno (da cui il cognome “Bintarn”, in cimbro “l’invernatore”) per alcuni anni, fino a quando l’imperatore Francesco Giuseppe concede l’amnistia in occasione della nascita dell’erede.
È costretto a fuggire una seconda volta quando la guerra raggiunge il suo paese; viene allontanato con forza dai soldati italiani e portato in un campo di concentramento in Slesia poiché ritenuto un simpatizzante degli austriaci. Abbandona il suo gregge di pecore e la sua amata casa, quella meravigliosa casa che aveva un ciliegio selvatico sul tetto. Ormai anziano, però, non desiste e fa di tutto per tornarvi anche solo per l’ultima volta. Ci riesce.
Le parole del testo di “Radici” di Francesco Guccini, forse ci possono aiutare.
“E te li senti dentro quei legami, i riti antichi e i miti del passate e te li senti dentro come mani”.
Versi profondi che ci raccontano uno stesso amore, l’amore per le nostre radici. Quell’amore che ci dà la forza, la saggezza e infine una morte lieta di fronte alle ceneri di un passato felice.